venerdì 14 gennaio 2011

Spaccare in due zolle di sogni

Spaccare in due
zolle di sogni.

Percuoterci fino ad assimilare il male
come parte integrante.

La verità è fatta di passato,
e ciò che passa
non è più vero.
Note come gocce di pioggia, arpeggio
col cielo
lasciando suonare le nubi.
Grigio asfalto
screziato di orme,
sporchi di fango
incediamo, in fondo assorti,
in mondi d’aria
paralleli, e quasi contigui.
Non so più se respirare valga a
qualcosa.
L’ombra tende a ricoprire,
ma nel buio essa non ha più
nome.
Invoco lampi e ghiaccio
su di uno specchio di spettri
riflessi.
Una lama fende l’acqua
ma non può tagliarla.

Eppure c’è qualcosa di buono anche in questo. Nelle mie convulsioni esangui, sommersa dalla voglia di alzare il capo colgo la fragilità che deve abbandonarmi. Lacrime come fuoco che mi fanno brillare gli occhi come nessun’altra cosa. Eppure ti credo. Diffidente per natura, sono un essere cauto e impulsivo. Non controllo ciò che non mi spiego ed è giusto così. E ancora mi fido. Non si può temere ciò che si agogna, o non lo avremo mai. Non ho paura. Le mie unghie sono forti e sanno affondare nella terra secca. Ogni esercizio di autocontrollo ha i suoi flebili effetti. Eppure sono essenza. Assenza d’essenza non può conciliarsi neppure con la volontà. Non smetterò di sentirmi viva per ottenere qualcosa. Preferisco rigirarmi nell’angoscia che lasciar scivolare ciò che bramo come sabbia tra le dita. Questa sabbia sembra sale, brucia sulla carne scorticata eppure rende gustoso ciò che ricopre. L’autolesionismo aiuta a prender coscienza delle emozioni. Scelgo di contorcermi tra dubbi e rompicapi pur cercando il sole dietro ogni nube. Non smetterò di credere nel domani. In fondo l’oggi senza il domani non avrebbe senso. Idee e convinzioni assimilate con fatica ora formano un essere condensato di lacrime e succhi gastrici. Voglio sangue, non acido a riempirmi il corpo! Arderò all’esterno e dentro me non avrò remore, non devo consumarmi lentamente ma divampare. Non più rabbia, solo amore. E così tanto che la rabbia si vomiterà nauseata.

Le parole
ricoprono uno spazio troppo breve per riempire
distanze tra pensieri di due teste. Con gorghi artistici potrei narrarti, con minuziosa cura, parziali anfratti del mio animo. Potrei cercare di confondermi tra le tue righe, magistrali forme del tuo tormento. Rimestare di nuovo carne e carta, corpo e inchiostro…forse non ricordi più quant’è bello visitare grotte calde e affannate. Non assaporo le tue labbra e contraggo i muscoli in attesa di un battito di ciglio. Son finiti i connubi bollenti e palpitanti che ci hanno stretto? Che hanno sorretto desideri lascivi e proibiti nei bagni piastrellati di turchese? Non credo a una parola di quello che scrivo. Ti voglio ancora come al prologo dei tuoi scritti rivolti al mio viso. La mente e il suo involucro sono inscindibili, ed io voglio entrambi. Ho rivisto in te frammenti mai compresi del mio essere e, se volgo di nuovo lo sguardo alla massa informe che ti compone, lo specchio è rimasto integro. Di rado s’incontra qualcosa di apprezzabile, da troppo aspettavo che mi si fermasse il fiato. Per quanto strano e bizzarro, cupo animale fatto di nervi, energia e sospiri, tu m’affascini come il nero fondo di un pozzo. Sto aspettando di sentir risuonare la moneta lanciata nelle sue acque torbide. La produttività del tuo animo è un bene prezioso e ricco di gloria, spremi gli organi e seziona le cellule, trasudi arte e mi spingi all’illuminazione!

Forse ormai banale scrivere di te,
eppure sei una riserva inestinguibile
di suoni, le mie mani danzano
ascoltandone i ritmici sussulti.
Tutti i nervi
che rendono agili queste dita, fili coriacei
e cianotici che si diramano in più punti
del cervello, attingendone nutrimento;
succhi e linfe disomogenei,
dolci, amare, alcuni gettati come scarto giù
per le grate, altre custodite in ampolle di
vetro soffiato. Entrambi allo stesso stato,
liquidi, anche se alcune dense e
lente nello scorrere. Defluiscono
dalle radici al fusto
e questo bel fogliame di occhi, che si
ravviva vedendo il sole,
ingiallisce solo in carenza di ossigeno…

**Canto di ossa, di bolge roventi,
canto dannati timori coscienti.
Riverbera il fuoco stagliato tra rocce
e il caldo raggrinzisce la pelle.
Sudore come gocce
che esternano in pianto il corpo ribelle.
Vuoi ardere ma esso risponde:
“le radici restan se bruci le fronde…”**

20/11/2007 

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